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Sovranità digitale e CLOUD Act

Perché se ne parla ancora – e cosa rischia l’Europa

Quando si parla di sovranità digitale, ci si riferisce alla capacità di uno Stato o di un'organizzazione di mantenere il pieno controllo sui propri dati, sistemi informatici e infrastrutture digitali, senza essere soggetti a interferenze normative da parte di paesi terzi. Nell'era del cloud computing e dei servizi globali offerti dai cosiddetti hyperscaler, questo concetto è diventato un tema centrale per l'Unione Europea, per la protezione dei dati personali, la sicurezza nazionale e la competitività delle imprese europee.

Uno degli ostacoli principali alla piena realizzazione della sovranità digitale è il CLOUD Act (Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act), una legge federale approvata negli Stati Uniti nel 2018. Il CLOUD Act consente alle autorità statunitensi di accedere a dati detenuti da aziende con sede negli USA, anche se questi dati si trovano fisicamente all'estero – per esempio in server localizzati in Francia o in altri Paesi dell'UE.

Questo scenario genera una potenziale incompatibilità con il GDPR, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Reg. UE 2016/679), che impone restrizioni rigorose ai trasferimenti di dati personali verso Paesi terzi, richiedendo garanzie giuridiche adeguate e il rispetto dei diritti fondamentali degli interessati. Se un'autorità extra-UE può ottenere l'accesso ai dati europei senza passare per i canali previsti dal GDPR (come gli accordi internazionali o le decisioni di adeguatezza), si rischia una violazione della normativa europea e una perdita di fiducia da parte dei cittadini e delle istituzioni.

Non è la prima volta che si affronta questo argomento in ambito privacy e cybersecurity, ma oggi lo riprendiamo perché è emersa una nuova dichiarazione pubblica molto significativa.

Durante un'audizione al Senato francese il 18 giugno 2025, Microsoft ha dichiarato ufficialmente di non poter garantire la sovranità dei dati dei suoi clienti in Francia – e, per estensione, nell'intera Unione Europea – in caso di richieste di accesso da parte delle autorità statunitensi, ai sensi del controverso CLOUD Act.

Una rivelazione importante, che conferma i timori espressi negli ultimi anni da garanti privacy, esperti di sicurezza informatica e responsabili della protezione dei dati, e che rende sempre più urgente una riflessione concreta sulla dipendenza dell'Europa dai fornitori cloud extra-UE, sulla reale conformità al GDPR, e sulla necessità di costruire un'infrastruttura cloud sovrana e indipendente.

L'ammissione che cambia tutto: "No, non possiamo garantirlo"

La dichiarazione di Anton Carniaux, direttore degli affari pubblici e legali di Microsoft France, è stata tanto diretta quanto preoccupante. Quando un senatore francese ha chiesto esplicitamente se Microsoft potesse garantire "sotto giuramento" che i dati dei cittadini francesi non sarebbero stati trasmessi al governo americano senza il consenso del governo francese, la risposta è stata netta e inequivocabile: "No, non posso garantirlo".

Questa ammissione segna la fine di ogni ambiguità e conferma quello che molti esperti di privacy e cybersecurity sospettavano da tempo: le garanzie contrattuali e tecniche dei fornitori cloud americani non sono sufficienti a proteggere i dati europei dalle richieste del governo statunitense.

Microsoft ha tentato di rassicurare sottolineando i propri meccanismi di resistenza legale, dichiarando di impegnarsi contrattualmente a resistere alle richieste "infondate" e di aver implementato procedure rigorose per valutare la validità delle richieste governative. Tuttavia, quando la richiesta è "ben formulata" e legalmente giustificata, l'azienda ha ammesso candidamente: "Assolutamente, siamo obbligati a trasmettere i dati".

​Come funziona il Cloud Act nella pratica

Il CLOUD Act rappresenta una vera e propria spada di Damocle sui dati europei. La sua portata è molto più ampia di quanto molte organizzazioni immaginino:

​Meccanismo di funzionamento:

  • Accesso extraterritoriale: Le autorità USA possono richiedere dati ovunque siano conservati fisicamente
  • Obbligo di compliance: Le aziende americane devono rispondere alle richieste legittime
  • Nessuna protezione geografica: Avere server in Francia, Germania o Italia non protegge i dati
  • Portata estesa: Include anche fornitori europei con operazioni significative negli Stati Uniti

Un esempio concreto: i tuoi dati aziendali conservati su Microsoft 365, anche se processati in un data center di Amsterdam, possono essere richiesti e ottenuti dalle autorità americane attraverso mandati o citazioni in base al Cloud Act.

Il caso di OVHcloud è particolarmente emblematico: pur essendo un'azienda francese, le sue operazioni negli USA la rendono soggetta al Cloud Act per i clienti americani. Come ha dichiarato lo stesso OVH: "OVHcloud rispetterà le richieste legittime delle autorità pubbliche. Ai sensi del CLOUD Act, ciò potrebbe includere i dati archiviati al di fuori degli Stati Uniti".

L'illusione della "residenza dei dati" si infrange

Molte organizzazioni europee si sono cullate nell'illusione che scegliere data center localizzati in Europa potesse garantire la sovranità dei dati. La testimonianza di Microsoft dimostra che questa strategia è fondamentalmente inefficace quando la giurisdizione legale risiede altrove.

Come ha osservato Mark Boost, CEO di Civo: "I server del Regno Unito o dell'UE non fanno differenza quando la giurisdizione si trova altrove e le filiali locali o le partnership 'fidate' non cambiano questa realtà".

Questo è un problema reale, non solo teorico, che può avere impatti concreti sulla sicurezza nazionale, sulla privacy personale e sulla competitività aziendale. Abbiamo già visto esempi pratici, come il caso della polizia scozzese, in cui dati sensibili sono stati trasferiti al di fuori della giurisdizione prevista.

Cloud Act e GDPR: i rischi concreti per le PMI italiane

Per le piccole e medie imprese italiane ed europee, questa situazione crea potenziali violazioni del GDPR con conseguenze economiche e reputazionali significative.

Le violazioni GDPR più probabili:

  • Art. 44-49 GDPR: Trasferimenti internazionali senza adeguate garanzie
  • Art. 32 GDPR: Mancanza di misure tecniche e organizzative appropriate
  • Art. 5 GDPR: Violazione del principio di accountability
  • Sanzioni fino al 4% del fatturato annuo globale o 20 milioni di euro

I settori più esposti al rischio:

  • Sanità: Cartelle cliniche e dati sulla salute (art. 9 GDPR)
  • Fintech: Dati finanziari e di pagamento
  • Legal: Comunicazioni privilegiate avvocato-cliente
  • Pubblica Amministrazione: Dati di cittadini e processi amministrativi
  • HR e Risorse Umane: Dati dei dipendenti e valutazioni

La reazione degli hyperscaler americani: tra difesa e ammissioni

AWS ha tentato di limitare i danni pubblicando "cinque fatti" sul Cloud Act, sottolineando che la legge non offre accesso "illimitato o automatico" ai dati. L'azienda ha precisato che "per costringere un fornitore a divulgare i dati dei contenuti, le forze dell'ordine devono convincere un giudice federale indipendente".

Tuttavia, AWS ha confermato di essere soggetta alle stesse limitazioni giurisdizionali di Microsoft, ammettendo implicitamente la validità delle preoccupazioni europee. Inoltre, ha sottolineato che il Cloud Act si applica a qualsiasi fornitore con operazioni negli USA, inclusi quelli europei.

Google ha preferito rimandare a precedenti comunicazioni, evitando di entrare nel merito in modo diretto - una strategia che di per sé è eloquente.

La verità è che tutti i giganti tecnologici americani - Microsoft, AWS, Google, ma anche Oracle, IBM e altri - sono nella stessa situazione: non possono garantire la sovranità dei dati europei perché sono soggetti alla giurisdizione americana.

Il futuro della sovranità digitale europea

La dichiarazione di Microsoft non è un caso isolato, ma il sintomo di un problema sistemico che richiede una risposta coordinata a livello europeo. L'Unione Europea sta accelerando gli investimenti in infrastrutture cloud sovrane attraverso programmi come Digital Europe Programme e Connecting Europe Facility.

Il mercato sta rispondendo: sempre più aziende europee stanno investendo in alternative locali, spinte non solo dalle considerazioni di compliance ma anche dalla crescente consapevolezza dei rischi geopolitici e competitivi legati alla dipendenza tecnologica.

Per le PMI italiane, questo rappresenta sia una sfida che un'opportunità. Chi si adatta per primo avrà un vantaggio competitivo significativo, mentre chi ignora il problema rischia sanzioni, perdita di credibilità e svantaggi concorrenziali.

La sovranità digitale europea non è più solo una questione ideologica o di principio, ma una necessità business concreta per evitare sanzioni GDPR, proteggere il vantaggio competitivo e mantenere la fiducia di clienti e partner sempre più sensibili alla protezione dei dati.

Il tempo delle illusioni è definitivamente finito. Chi vorrà competere nel mercato europeo dei prossimi anni dovrà fare i conti con la realtà della sovranità digitale. E chi inizia oggi avrà l'opportunità di trasformare questa sfida in un vantaggio strategico duraturo.

Fonte: The Register  (https://www.theregister.com/)


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